STRESS PRE/POST CORONAVIRUS

La condizione psicologica durante il Coronavirus


Gli esseri umani, pur sforzandosi di essere razionali affidandosi alla logica, sono profondamente psico-logici e quindi le emozioni giocano un ruolo fondamentale stravolgendo le scelte più pianificate o basate su dati di fatto. Una delle reazioni più tipiche in situazioni come queste è la paura, emozione primaria, fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza: se non la provassimo non riusciremmo a metterci in salvo dai rischi. Quindi ben venga percepire paura, perché ciò ci attiva. Ma se non riusciamo a gestirla rischiamo di attuare comportamenti impulsivi, frenetici e irrazionali che, in questi casi, rischiano di essere controproducenti. Qui si passa spesso al panico o all'ansia generalizzata, per cui un pericolo limitato e contenuto di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante. Non siamo fatti per reggere situazioni di allerta o tensione troppo a lungo, ma nei tempi moderni spesso si staziona in situazioni stressanti in modo continuativo. In alcuni soggetti si sviluppa poi una situazione di ipocondria, intesa come tendenza a eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione da nuovo Coronavirus. In alcuni casi, fortunatamente limitati, vi è poi una degenerazione verso l’odio sui presunti moderni “untori” stranieri o italiani sulla scia della necessità umana di trovare sempre un presunto colpevole, meglio se lontano da sé e dal proprio gruppo sociale. Il Coronavirus è piccolo, sfuggente, invisibile all’occhio umano, sconosciuto, facilmente trasmissibile e ciò scatena le paure più profonde di un qualche elemento incontrollabile che dall'interno che ci possa distruggere.


Una limitata dose di paura e allerta sono necessarie, anzi fondamentali per potersi attivare senza perdere di lucidità. Seguire le poche ma preziose indicazioni delle autorità sanitarie richiede un minimo di attivazione e concentrazione. Il limite fra una funzionale attivazione (o stress positivo) e un eccesso di allerta con comportamenti poco lucidi e controproducenti è sottile. L’importante è capire “chi sta controllando che cosa”, come nelle dipendenze: sono ancora io a gestire e scegliere cosa fare, o sto attuando comportamenti seguendo una massa di persone che sta facendo proprio quello che andrebbe razionalmente evitato? Faccio qualche esempio per essere più chiaro: nessuna autorità sanitaria ha consigliato di affollare i supermercati per rifornirsi ossessivamente di scorte alimentari, eppure questa “psicosi” si è diffusa portando a molteplici effetti negativi, come concentrare parecchie persone in spazi chiusi con la possibilità di favorire la diffusione del virus oppure far mancare certi alimenti a chi non era corso subito al supermercato. Altro esempio è la corsa ad accaparrarsi le mascherine, scelta non logica ma emotiva: il risultato finale è che le mascherine sono finite nelle mani soprattutto dei sani (per i quali sono meno indicate), venendo a mancare per i malati (per i quali sono più utili per limitare il contagio).

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